NEL MIO GIARDINO

Lo vedo dalla finestra della cucina. Il mio giardino. Mentre scorrono le note di Adele, Lovesong. E non posso fare a meno di osservarlo, in ogni suo particolare, con l’affetto profondo che si può avere per un amico silenzioso eppure presente. Sempre. Da anni. Tanti. E mi stupisce pensare a quanti anni abbia il mio amato albero di caco, ero una bimbetta quando è arrivato, esile come un giunco. E poco più di un decennio d’anni fa, nel corso di una ristrutturazione importante di casa, il titolare dell’impresa edile, un lontano cugino di mia madre, promise che, un giorno o l’altro, l’avrebbe abbattutto. Intralciava, diceva lui imprecando, l’ingresso dei mezzi necessari per i lavori. Credo di non aver mai minacciato nessuno in quel modo. E’ seguita anche una telefonata da parte mia alla di lui moglie, donna in odore di santità, che, a sua volta, amante delle piante e del verde, credo abbia fatto la sua parte. Il marito non ha più osato minacciare il mio caco, si limitava, appunto, ad imprecare. Ancora oggi, a distanza di anni, quando chiama mia madre per gli auguri di Natale, gli dico ironicamente che, una volta terminati i lavori, abbiamo dovuto chiamare un sacerdote per portare pace e benedizioni al mio giardino, dopo i suoi sproloqui. Sento che sorride. Il tempo, qualche volta, addolcisce. Ma al di là di questo colorito aneddoto, la forza di un albero e di un giardino la senti. E io non posso fare a meno di scriverla, perché mi viene naturale cristallizzare in questo modo immagini ed emozioni che, per pudore, forse non riuscirei a dire. Ero una bambina timidissima, ora sono una donna riservata. Molto. Nella sostanza sono sempre io, con più esperienza, ma il tratto del carattere è quello. Però se ora guardo quelle centinaia di frutti che porta con orgoglio il mio caco, penso, bravo, ancora una volta hai fregato tutti. Tutti quelli che, esperti e non di giardinaggio, sostenevano, pochissimi anni fa, fosse venuto il momento di abbatterti. Ormai eri stanco e affaticato. Lo si vedeva dal tronco, che si sfaldava. Lo si capiva perché ormai non producevi più frutti. Eri sterile. E allora? Mi sono ostinata a ripetere io. Amo mangiare i suoi frutti ma più di tutto amo lui, i suoi colori d’autunno, la sua presenza che per me è rassicurante. Siamo stati cocciuti entrambi. E avevamo ragione. E allora, amica mia che sei lontana, penso a te in questo momento, dopo la nostra telefonata di stamattina. Guardo a lui e penso a te. Anche a me. Chi di noi non ha attraversato momenti lunghi e difficili che sembrano non passare mai? Una persona cara, molto tempo fa, in uno di quei momenti, mi scrisse frasi indelebili. "...intanto la vita si dipana e i grumi si sciolgono… non senti che è primavera?" Pensa al bello che hai, a chi tu sei, a ciò che vuoi. A ciò che hai saputo fare e a ciò che farai. Il resto è una provvisoria scenografia. Un’immagine che sbiadirà nel tempo. Un chiacchericcio davvero sterile. Credici e sii cocciuta come già tu sei. Non ascoltare chi, intorno a te, sa cosa tu debba fare, solo tu puoi saperlo. E non permettere mai che qualcuno ti porti via la speranza, i sogni, neanche le paure. Che se non sono troppe o troppo ingombranti, aiutano. E mentre penso e scrivo, il giardino è quieto e tranquillo. Buono, come sempre. La luce rosata di questo tramonto di settembre è incredibilmente bella. E tutto, ma proprio tutto, la luce, gli odori, i colori rossastri, il mio desiderio di cucinare, di profumi orientali e di luci soffuse, mi fanno dire: siamo davvero in autunno, la mia stagione preferita. Questo scritto è arrivato così ed è per te, cara amica, è il mio abbraccio da qui. Ti prego di accettarlo e di leggerlo, o rileggerlo, con la musica di Adele in sottofondo. Perchè così è arrivato a me. xxx Adele - Lovesong
Marie