Un rito in solitaria

Allacciarsi i nastri delle scarpe da punta é un pò come riprendere le fila di un discorso mai interrotto, con se stesse. Un rito in solitaria. Un incrocio e poi un altro, il nodo dietro e poi no, non la senti bene, non é confortevole, troppo stretta. Via, che si slaccia tutto e si riparte da capo... le chiacchere delle compagne di corso, in sottofondo, che stanno facendo la stessa cosa che fai tu, concentrate, lo stesso rito per tutte, ogni volta come la prima... anche se, in effetti, dopo un pò, impari meglio, conosci il livello di comfort di cui hanno bisogno le tue caviglie e le mani si muovono più sicure... le scarpette sono nuove e si sente... ci sono le punte da “smollare”, non troppo però, sennò non “tengono”... solo un pò, altrimenti a fine lezione mi sanguinano i piedi... la prossima volta mi porto un paio di bistecche da metterci dentro... (e poi chi la mangia più la carne???!!!)... Di nuovo, un incrocio, poi un altro, il nodo dietro... muovo la caviglia avanti e indietro per capire se stavolta va e si, direi che é perfetto... Presto che inizia la lezione... si corre dentro, in sala, e la voce della mia adorata maestra di danza che mi riprende “Marie, togliti gli occhiali prima di iniziare... Puoi? “( Direi di no, ma lo faccio perché voglio che sia contenta, ci vogliamo bene, dice che una ballerina classica non porta gli occhiali quando danza. Vedo tutto sfuocato ma conosco lo spazio in cui mi muovo e i passi a memoria). E’ dolce e severa, terribilmente esigente con me, vuole una posizione delle braccia e mani perfetta... e mentre sono sulle punte la sua voce riecheggia dall’altra parte della sala “ Marie, sorridi!... sorridi!... Ricordati sempre di sorridere, una ballerina non dimostra mai fatica“. ( Sorrido, poco convinta, non condivido. Sono ancora una bambina in fondo e non capisco veramente ciò che mi vuole dire). Ma a fine lezione, si avvicina, accenna ad una piccola carezza sul mio viso e dice” Brava,” (e so che lo pensa davvero), “ ti aspetto al corso delle grandi, giovedi”. (Che, tradotto, vuol dire, tre giorni alla settimana di studio, molti esercizi in più alla sbarra, muscoli indolenziti e piedi stanchi almeno per il primo mese. Ma mi ha detto che sono brava. E come l’ha detto). E, a questo punto, la fatica di quella piccola danzatrice é svanita nel nulla, come una cosa superflua, inutile. Come una nuvola che si dissolve. In un istante. Mentre una delicata armonia si faceva strada nel mio cuore. Ci siamo volute bene. Lei ora é vento, mi manca molto. E io la penso spesso quando provo fatica. E sorrido.

Marie